Francesco I «Sarà la primavera dopo il duro inverno»
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- Scritto da Leonardo Boff
Intervista a Leonardo Boff, uno dei fondatori della Teologia della liberazione: «Questo Papa è il volto umile e aperto della Chiesa. Quella dei poveri, amica dei laici e del popolo. Il suo è il messaggio del terzo millennio» – Ha incontrato personalmente il cardinale Jorge Maria Bergoglio solo una volta negli anni ’70, durante un ritiro spirituale. Ma il brasiliano Leonardo Boff, tra i fondatori della Teologia della liberazione, ripone nel nuovo Papa molte speranze. Vede in lui il vento della «primavera» che scioglie il «freddo inverno della Chiesa».
E la traghetta nel terzo millennio. «È sempre stato dalla parte dei poveri e degli oppressi, come noi teologi della liberazione». E questo gli basta. Del brand non si preoccupa, e non crede alla complicità con la dittatura militare.
Che uomo è Jorge Maria Bergoglio, e che Papa sarà Francesco I?
Per me l’importante adesso non è l’uomo ma la figura di una Papa che ha scelto di chiamarsi Francesco, che non è solo un nome ma un progetto di Chiesa. Un Chiesa povera, popolare, che chiama tutti gli esseri della natura con le dolci parole «fratello» e «sorella». Una Chiesa del Vangelo distante dal potere e vicina al popolo.
Secondo lei il cardinale Bergoglio ha le carte giuste per portare questo rinnovamento nella Chiesa? Francesco ricevette da San Damiano questo messaggio: ricostruire la Chiesa che è in rovina. Oggi siamo dentro un rigoroso inverno e lo stesso castello che gli ultimi due papi hanno creato è in rovina. E adesso un nuovo Papa arriva da fuori le mura di Roma, quasi dai confini del mondo, come dice egli stesso, esterno a quei circoli di potere. E credo che prima di tutto lavorerà internamente alla curia per riscattare la credibilità della Chiesa, macchiata dagli imbrogli, dagli scandali dei pedofili e della banca vaticana… E dopo farà un’apertura al mondo moderno, perché sia Benedetto XVI che Giovanni Paolo II hanno interrotto il dialogo con la modernità. Un errore rinunciare a capire e a dialogare con la cultura moderna. Diffamarla e considerarla puro relativismo e secolarismo, non riconoscerne i valori, è una blasfemia contro lo Spirito Santo. Gli uomini cercano una verità più ricca e più ampia di quella di cui la Chiesa crede di essere l’esclusiva portatrice. Piuttosto invece la sua è un’istanza di potere. Mentre il senso evangelico del papato è unire i fedeli cristiani nella fede, nel corso della storia invece si è creata una monarchia assolutista che pensa alle cose in una prospettiva giuridica. Questo Papa ha detto subito di voler presiedere la Chiesa nella carità. Questo è il senso della più vecchia tradizione, della funzione di Pietro. Penso che questo Papa sia il volto nuovo della Chiesa, umile e aperta, che può portare l’esperienza del “Grande Sud”, dove vive il 70% dei cattolici.
L’esperienza latinoamericana, in particolare?
La nostra non è più lo specchio della Chiesa europea. È una Chiesa fonte, che ha sviluppato un volto e una teologia proprie, una pastorale con radici nelle culture locali. Francesco I porterà questa vitalità nella Chiesa universale, per far finire l’inverno rigoroso ed entrare in una prospettiva di primavera. Bergoglio offre questa speranza, e la promessa che il papato può essere vissuto differentemente.
Negli anni ’70 il gesuita Bergoglio ebbe, secondo alcuni osservatori argentini, un atteggiamento controverso verso la dittatura militare. Ancora più condivisa l’opinione che lo vuole decisamente avverso alla Teologia della liberazione. Qual è il suo giudizio?
Recentemente Pérez Esquivel (premio Nobel per la Pace nel 1980, ndr) ha smentito che Bergoglio fosse complice della dittatura argentina spiegando che invece ha salvato tanti perseguitati dal regime militare. Quel che è certo è che ha sempre preso la posizione dei poveri e degli oppressi anche nel suo stile di vita: è una persona semplice che si sposta in autobus, che vive in un piccolo appartamento, cucina da solo… Viene dal popolo e lo si vede anche nella sua azione pastorale. Su youtube c’è un video bellissimo di Bergoglio che parla del debito che tutti abbiamo verso i poveri perché la diseguaglianza è frutto di una società anti-etica e anti-umana. E il marchio registrato della Teologia della liberazione è l’opzione verso i poveri e contro la povertà. Però è pur sempre un filosofo, un teologo, rettore universitario. Secondo alcuni esperti, si può dire di lui che sia molto lontano almeno da quella Teologia della liberazione di stampo marxista. Questa è la versione delle dittature militari che hanno sempre calunniato la Teologia della liberazione (Tdl, ndr). Che poi fu accettata da Ratzinger come una forma di teologia (per esempio, nominando nel 2012 a prefetto della Congregazione dei religiosi l’arcivescovo brasiliano João Braz de Aviz, e a capo della dottrina della Fede Gerhard Ludwig Müller, entrambi molto aperti alla Tdl, ndr). Ma noi non abbiamo mai preso Marx come padrino della Teologia della liberazione; io stesso non sono marxista. E non è mai esistita una Teologia della liberazione marxista. Il movimento Tdl peraltro non è mai stato forte in Argentina, dove invece si è sviluppata una teologia propria, incarnata nella cultura popolare locale. Non si può dire che Bergoglio fosse contro questo tipo di teologia.
Come teologo, però, Bergoglio non ha mai riconosciuto il valore del movimento Tdl. Non è così?
Lui è un gesuita e in quanto tale di ottima formazione intellettuale. Poi ha studiato in Germania, come me. Perciò è anche molto aperto intellettualmente. Ma non mi curo dell’appellativo «Teologia della liberazione», mi importa invece quale atteggiamento si sceglie di avere di fronte ai poveri e agli oppressi del mondo. Bergoglio è dalla nostra stessa parte. La nostra Chiesa latinoamericana ha tanti martiri: Oscar Romero, Enrique Angelelli, tanti colleghi miei che sono stati sequestrati e assassinati durante la dittatura. Non avevano un’ideologia in testa, ma un certo tipo di atteggiamento con le favelas, con i barrios, con i poveri. E questo è l’importante. Che nome daremo a tutto questo, non importa. Francesco d’Assisi affrontò l’avvento dell’economia monetaria nell’epoca in cui in Italia nascevano i primi comuni prospettando una diversa visione del mondo.
Crede che, allo stesso modo, la sfida di Papa Francesco I sia anche quella di ripensare, nell’attuale fase, il rapporto della Chiesa con il sistema capitalistico?
Penso, come diceva lo storico inglese Arnold Toynbee, che al tempo di San Francesco, dopo il caos dell’impero romano che ha introdotto la moneta – siamo agli albori del sistema capitalistico – simultaneamente è apparsa l’opposizione. Francesco era una persona anti-sistema. Proprio Ratzinger in un articolo famoso ha detto che San Francesco – vissuto al tempo di Papa Innocenzo III che è stato l’imperatore forse più ricco di tutta la storia cristiana – faceva il contrappunto. Viveva una resistenza profetica senza fare alcuna critica orale, ma percorrendo un cammino evangelico alternativo. Questo è l’insegnamento di San Francesco, il plano vivere, il vivere senza titoli sulla terra e non in posti di potere. Francesco non era un prete, era un laico. E noi lo abbiamo dimenticato. Con la figura di Francesco, questo Papa assume tutto un complesso di valori: valorizza i laici e i movimenti popolari. Qualcosa di molto importante perché il tema centrale del mondo adesso non è la Chiesa ma il futuro ha la vita, il peso che ha l’uomo. Ora per me la domanda è cosa fa la Chiesa cattolica per aiutare l’umanità a uscire da questa crisi, che può essere determinante. Francesco I può essere il Papa della fine del mondo, perché abbiamo costruito una macchina di morte che può distruggere tutto. Per me il messaggio di San Francesco è l’unico che ci può traghettare nel terzo millennio: o lo prendiamo o andiamo verso la fine.
Ma il potere temporale della Chiesa, il sistema dello stato Vaticano, può liberarsi dalla sudditanza al capitalismo?
Penso che sia inutile pensare a una riforma del sistema capitalistico che ormai ha dato tutto quello che poteva dare ed è arrivato alla fine. Bisogna andare verso un altro paradigma, verso un bien vivir, come dicono gli indigeni latinoamericani. E bisogna superare la dimensione temporale, politica, del Vaticano, una monarchia assolutista del passato. Bisogna rinunciare alle nunziature, utilizzare le banche etiche, decentralizzare la Chiesa. Perché il dicastero delle missioni non può restare in Asia? Perché quello dei diritti umani e della giustizia non può venire in America latina? E quello del dialogo interecclesiastico perché non va a Ginevra, insieme al Consiglio mondiale delle chiese? Questa decentralizzazione è già pensata nel Concilio Vaticano II. Gli ultimi due papi hanno svuotato questa istanza di funzionalità della Chiesa e sono andati verso la centralizzazione del governo. Alla base sociale di questo tipo di Chiesa ci sono gruppi fondamentalisti come l’Opus dei, Comunione e liberazione, i Cruzados dell’Evangelio.
Quindi aver preferito Bergoglio rispetto al cardinale brasiliano Odilo Schrer, membro della Commissione cardinalizia di Vigilanza dello Ior, è un segno molto importante?
Grazie a Dio Scherer – che era il candidato della curia romana, un conservatore con un’autorità molto forte – non è il nuovo Papa. Eppure il cardinale Bergoglio si è contraddistinto in Argentina per la sua campagna contro le unioni omosessuali. Finora nessuno nella Chiesa poteva allontanarsi da questa visione del mondo. Lui però pochi mesi fa ha permesso a una coppia omosessuale di adottare un bambino. Questo vuol dire che non è una persona inflessibile. Ora può aprire una discussione ampia sul celibato, sulla sessualità, sulla reintroduzione dei preti sposati. Perché la Chiesa ha una crisi istituzionale tremenda, non può essere un’isola sola in mezzo al mare.
Qual è il bene comune della Chiesa cattolica?
È la tradizione di Gesù, l’amore incondizionato. Unire i due poli: il padre nostro col pane nostro. Cioè aprirsi verso la trascendenza e preoccuparsi di chi ha fame e bisogno. Solo così si può dire amen.
Leonardo Boff
Fonte: Il Manifesto